Nei giorni intorno al 19 marzo le vetrine dei bar e delle pasticcerie di Napoli si riempiono di suggestivi vortici di pasta choux guarniti con crema gialla e piccole amarene sciroppate sulla cima. Questi dolcetti, che possono essere mangiati sia nella versione piccola sia nella versione grande, secondo l’appetito del compratore, sono uno dei prodotti di punta dell’arte dolciaria napoletana. Di cosa stiamo parlando? Della zeppola, naturalmente!
La bontà del santo
La zeppola di San Giuseppe – questo il suo nome per esteso – non ha sempre avuto l’aspetto che conosciamo. La crema con cui oggi è farcita e decorata è molto probabilmente una novità gastronomica otto-novecentesca. Ancora nel 1876, nelle pagine della rivista napoletana Lo Spassatiempo, si leggevano questi versi, di cui la zeppola è protagonista: “Viene ccà; pigliane tridece, e sseje / pe mmette ngrolia lo decennove; / Po accatta zuccaro, mele, e geleppe / nguacchiale e magnale pe San Giuseppe” (“Vieni qua: pigliane tredici e sei / per mettere in gloria il diciannove; / poi compra zucchero, miele e giulebbe / cospargile [di questi prodotti] e mangiale per San Giuseppe”).
In passato, infatti, la zeppola era semplicemente una frittella che, condita con zucchero, miele e sciroppo, diventava una vera golosità. Di questa pietanza esisteva anche una versione salata, consistente in bocconcini fritti di pasta cresciuta. Questa versione è ancora oggi consumata a Napoli, in genere all’interno del cuoppo, il famoso cono di carta paglia contenente fritture di vario genere, re dello street food napoletano. Un’altra variante nota della zeppola è una frittella a base di patate e cosparsa di zucchero semolato, assai simile alla graffa.
Molti storici della lingua e lessicografi hanno cercato di far luce sull’origine della parola zeppola. Il lessicografo Giovanni Alessio sosteneva che il termine zippula esistesse già in latino, ma di questo termine non fu in grado di indicare origine e significato. Secondo lo studioso Ottavio Lurati la parola deriverebbe da Seppe, abbreviazione di Giuseppe, poi diventato Zeppe. Più recentemente, Alberto Nocentini, autore di un vocabolario etimologico della lingua italiana, ha proposto una derivazione della parola dall’aggettivo zeppo nel senso di ‘pieno’, poiché la zeppola è farcita con crema. La teoria tradizionalmente accettata è quella di uno studioso di nome Pier Gabriele Goidànich, secondo il quale la parola zeppola deriverebbe da zeppa, cioè ‘pezzo di legno o ferro’ (a sua volta dal longobardo zippil), in virtù della sua forma, specie nelle versioni più antiche.
Sull’origine del nome ci sono, quindi, ben poche sicurezze. Quel che è certo, invece, è che in tutta l’Italia meridionale le zeppole, nelle loro innumerevoli versioni dolci o salate, sono sempre frittelle cucinate e mangiate nei giorni di festa. Quanto alla napoletana zeppola di San Giuseppe, la tradizionale variante fritta ha ceduto parte del suo successo alla variante al forno, così che tutti – anche i più attenti alla bilancia – possano godere del piacere di addentare questo sublime pasticcino. E a proposito di tradizione, negli ultimi decenni sembra che il legame tra le zeppole e il 19 marzo sia venuto meno. Questi dolcetti si trovano ormai tutto l’anno, a vantaggio degli irriducibili della pasta choux ai quali basterà scendere in strada, per godersi questa raffinata prelibatezza…