Ottima carne, abbonante cipolla – preferibilmente la ramata di Montoro – e una lunga, lunghissima cottura… Ecco i segreti per la preparazione della genovese, uno degli intingoli più rappresentativi della cucina napoletana. Primo e secondo piatto insieme, nutriente e saporita, la genovese, con il suo profumo inconfondibile e la sua consistenza unica, contende al ragù il primato sui pranzi domenicali delle famiglie campane.
Qualche dubbio ancora da sciogliere
Le origini di questo gustoso condimento sono dubbie, benché alcuni abbiano voluto vederne traccia in un manoscritto risalente ai primi anni del Trecento. In questo manoscritto, infatti, è riportata la ricetta dei tria ianuensis, cioè dei tria – un antico formato di pasta – conditi, appunto, alla genovese, con cipolle bollite e formaggio grattugiato. Il composto a base di cipolle poteva essere utilizzato, secondo l’anonimo autore della ricetta, per insaporire qualunque tipo di carne, inclusa quella di cappone.
In effetti, di cappone a la genovesa parla anche Ippolito Cavalcanti nella prima edizione della sua Cucina teorico-pratica, nella quale non c’è una vera descrizione della preparazione. Per questa, bisognerà aspettare l’edizione del 1844, quando Cavalcanti inserirà nel suo volume la ricetta dei paternostielle ʼncaciate co lo zuco de carne a la genovese. Nella ricetta di Cavalcanti, comunque, non è presente la cipolla: sembra, infatti, che l’espressione alla genovese fosse utilizzata per indicare la cottura della carne in umido, alla quale potevano essere aggiunte spezie e condimenti diversi. Lo stesso emerge dal Vocabolario del dialetto napolitano di Emmanuele Rocco che, alla voce genovese, specifica: «Carne o Ragù alla genovese è la Carne messa a cuocere col lardone battuto o collo strutto, a cui si aggiunge a poco per volta dell’acqua a misura che si va cocendo».
La letteratura napoletana conferma, comunque, l’ecletticità della modalità di cottura allagenovese. I testi ci informano, infatti, che diversi tagli di carne, inclusi quelli meno nobili, potevano essere cucinati in questo modo. Ad esempio, l’anonimo autore della commedia intitolata Lo Vommaro e risalente al 1742 parla di fecato a la genovese. Più tardi, nella commedia intitolata Pazzie di Carnevale, il celebre Eduardo Scarpetta parlerà di na genovese con patate, che l’oste Carmeniello serve al giovane Papele assieme a na porzione de lasagne al forno e no fritto.
Una versione della ricetta sulla quale tutti sembrano essere oggi d’accordo è quella che si trova in La cucina napoletana di Jeanne Caròla Francesconi, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1965. In quest’opera si riporta la ricetta dei maccheroni alla genovese, in cui fa la sua apparizione la cipolla usata in grandi quantità (2 kg. di cipolle su 1 kg. di carne).
Cercare di svelare i motivi per cui questa gustosissima preparazione, piatto bandiera della cucina napoletana, abbia preso il nome di genovese è un obiettivo che in molti si sono posti. Le giustificazioni date non sempre sono risultate soddisfacenti: c’è chi ha tirato in ballo il presunto inventore della ricetta, che doveva far di cognome Genovese, chi ha invece attribuito l’arrivo a Napoli della preparazione ai mercanti genovesi che spesso si trovavano in città. Ma la spiegazione è forse molto più semplice…
Esattamente come avviene oggi per le molte preparazioni che vengono definite, altrove, alla napoletana, l’espressione alla genovese (poi, semplicemente, genovese), era utilizzata per indicare una modalità di cottura effettivamente molto apprezzata a Genova. Ancora oggi, in Liguria, è possibile trovare preparazioni almeno in parte simili alla genovese napoletana, come il celebre stuffou. La principale differenza tra queste preparazioni e quella napoletana è che in quest’ultima il saporito sugo derivato dalla cottura viene poi utilizzato per condire la pasta.
Certo, la genovese è un piatto ricco, data la prelibatezza dei tagli di carne utilizzati. Per questo la scoppiettante fantasia popolare ha dato vita alla genovesefujuta o finta genovese, una variante più leggera ed economica, che non prevede l’uso della carne. Il segreto è sempre e comunque nelle ricette di famiglia… non resta che armarsi di pazienza e… spezzare gli ziti!