Che si scelga come sostanzioso spuntino o come gustoso stuzzichino per un aperitivo alla napoletana, il tarallo è sempre molto apprezzato per la sua croccantezza e per il suo sapore deciso. Il più celebre è sicuramente quello ʼnzogna e pepe, ricoperto di mandorle che rendono ancora più invitante questa ciambelletta. Ma la fantasia degli esperti panettieri di città e provincia ha moltiplicato le combinazioni di gusti, sapori e consistenze dei taralli, oggi disponibili in moltissime varianti.
Tante versioni, dolci e salate
Sebbene la versione più famosa dei taralli sia quella salata e ‘cittadina’, i taralli sono prodotti e consumati in tutta la Campania. Esistono, ad esempio, i taralli intrecciati, di dimensioni inferiori e conditi in modo semplice con spezie o erbe aromatiche, ed esistono numerosissime varianti dolci, come i taralli di Pasqua, preparati con pasta frolla, o i più celebri taralli di Castellammare, caratterizzati da una delicata glassa di naspro.
Di taralli si parla a Napoli almeno dagli inizi del Cinquecento. Nel celebre Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli scritto nel 1588 da Giovan Battista Del Tufo, si legge più volte delle ciambellette, ma è interessante il riferimento alla festa di Sant’Antonio, durante la quale, scrive Del Tufo, era possibile trovare bancarelle che vendevano «taralli, per far colazïone, sosamelli, copete e buon terroni» (cioè torroni). Si trattava quasi esclusivamente di biscotti e altre preparazioni dolci. E dolci erano anche i «tarallucce de zuccaro» che appaiono, assieme a franfrellicche e struffoli, nel racconto intitolato La Penta mano mozza del famoso Cunto de li cunti di Basile. Solo più tardi, nel corso dell’Ottocento, si inizierà a fare riferimento anche a taralli salati, associati talvolta alle freselline ʼnzogna e pepe.
Dal punto di vista etimologico, la parola tarallo ha attirato l’attenzione di molti studiosi, che ne hanno proposto origini diverse. Ad esempio, lo studioso Pier Gabriele Goidànich, in una ricerca sui nomi del pane e dei dolci italiani, riteneva che la parola derivasse da un’antica base linguistica tar- che significa ‘avvolgere’, vista la forma tondeggiante dei taralli. Nel Dizionario Etimologico Italiano si parla invece di una possibile derivazione dal greco dáratos, usato per indicare un tipo di pane. Nell’Etimologico di Nocentini, infine, il termine tarallo viene ricondotto al latino *terranulu, ipotesi che si basa principalmente sull’origine contadina di questa preparazione.
Di recente, lo studioso napoletano Marcello Barbato, in un lavoro dedicato proprio allo studio della parola tarallo, ha riportato il nome della preparazione al latino TORULUS, legata ai significati di ‘gonfio’ e ‘tondeggiante’, da cui deriva anche l’italiano tuorlo. Il suffisso –ulus del latino sarebbe stato sostituito dal suffisso –allo, di origine greca, mentre la –o– sarebbe diventata –a-, come avviene nella parola cainato ‘cognato’ in napoletano e in gran parte dell’Italia meridionale.
Queste ciambellette dai mille sapori non sono tipiche della sola Campania. Sono celeberrimi, ad esempio, i taralli pugliesi. Ad ogni modo, dolci o salati, semplici o speziati – ma sempre, rigorosamente tondi –, i taralli si trovano in quasi tutte le regioni del centro e del sud Italia: dall’Abruzzo alla Sicilia, è possibile assaggiare, infatti, taralli ai semi di finocchio, all’anice, al cioccolato o al vino, consumati nelle occasioni più disparate, dal Natale al Ferragosto: un vero caleidoscopio di gusti e colori che riflette le innumerevoli declinazioni di questi territori… e dei loro dialetti!