In una lista dei formati di pasta più noti e amati in Campania non possono certo mancare i paccheri. Si tratta di una pasta corta, dal diametro particolarmente pronunciato, che si presta a svariate ricette, grazie alla sua forma unica e inimitabile. Lisci, come richiede la miglior tradizione campana, i paccheri possono essere cucinati in due modi: o farciti con ripieni fantasiosi – ricotta, salsiccia, ragù – e infornati, o lessati e conditi con gustosi intingoli. Sughi di terra e di mare esaltano la particolare consistenza dei paccheri che, se cotti a puntino, diventano una doppia sfoglia ricca di sapore. Un terzo metodo di cottura è riservato solo ai più temerari: la frittura.
Un po’ di storia e… di teatro
La storia di questo gioiello della trafilatura non è precedente all’inizio dell’Ottocento. Sebbene, con ogni probabilità, già nel Settecento si producessero paste corte di diametro più o meno ampio, bisognerà aspettare il 1816 per una prima testimonianza scritta della parola pacchero nel suo significato alimentare. Furono necessari pochi decenni perché il formato diventasse uno dei prodotti di punta dell’arte maccaroneca napoletana, celebrato in alcuni versi dedicati, appunto, al maccaronaro: “Viene a bederele, sorchia lo naso / vide che paccare, chine de caso!” (“Vieni a vederle, aspira col naso / vedi che paccheri, pieno di formaggio!”).
A Napoli e in Campania la parola pacchero significa anche ‘schiaffo’ ed è per questo che spesso si parla anche di schiaffoni per definire lo stesso tipo di pasta. Questo doppio valore della parola è alla base di un divertente scambio di battute tra Giovanni e Agostino, due personaggi della commedia Mastro di forgia di Raffaele Viviani, messa in scena nel 1931:
Giovanni: È calata… la pasta, giù? Agostino: Nun è calata ancora. Giovanni: E falla calà! Pecché, si nun basta ʼo spaghetto, menammo ʼe pacchere! Agostino: E ccà a pàcchere fernesce!
Ma che legame c’è tra i due termini e i due significati? Probabilmente pacchero ‘schiaffo’ e pacchero ‘tipo di pasta’ sono accomunate dall’essere due parole di origine onomatopeica. Se per ‘schiaffo’ il suono a cui risalire è facilmente intuibile, può sembrare più difficile per ‘tipo di pasta’. In questo caso bisognerà ricordare l’insieme di parole italiane e dialettali che, legate al verbo ‘pacchiare’, significano ‘fare rumore quando si mangia’ o ‘mangiare con appetito’. A questo stesso gruppo risale, ad esempio, la parola pacchia, il cui significato originario è proprio quello di ‘mangiata’. Tradizione vuole, comunque, che il termine pacchero sia stato scelto perché il rumore che producono quando vengono immersi nel loro condimento sembra proprio quello di uno schiaffo…
Nel resto d’Italia la parola pacchero e il prodotto iniziarono a circolare solo tra gli anni ʼ50 e ʼ60 del secolo scorso, ma il taglio inusuale di questo tipo di pasta lo ha reso uno dei formati più apprezzati dagli chef contemporanei. Dai paccheri fritti all’amatriciana ai paccheri con sugo d’agnello, questo rotolino di semola è una vera coccola per il palato… Altro che schiaffoni!