La copeta è un croccante a base di zucchero, miele e frutta secca (mandorle, nocciole e talvolta pistacchi) tipico delle province di Benevento, Avellino e Salerno. Un tempo diffuso anche a Napoli dove, nei giorni di festa, si vendeva «pe’ bambini innanzi alle porte delle chiese», la sua storia ha incuriosito, nel tempo, studiosi e appassionati di lingua e gastronomia.
L’ingrediente decisivo
Nei testi campani, la copeta appare per la prima volta nel 1511, nella prima edizione dello Spicilegium (un glossario latino-volgare) del maestro Lucio Giovanni Scoppa, Con grande stupore dei lettori di oggi, nell’edizione successiva, risalente al 1526, lo stesso Scoppa associa la parola a sosamello, Questa associazione viene spiegata dallo studioso Vincenzo De Ritis che ricorda che un tempo i due prodotti erano accomunati dalla presenza di un ingrediente: il sesamo. Se si tiene conto di questo dettaglio, non stupisce nemmeno l’associazione tra il sosamello, la copeta e la cubbaita, dolce tipico della Sicilia anch’esso prodotto con frutta secca ma un tempo realizzato esclusivamente con semi di sesamo.
Testimonianze letterarie cinquecentesche ci dicono che la copeta era molto diffusa in città. La troviamo citata più volte nel Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli (1588) di Giovan Battista Del Tufo e la troviamo in una commedia del 1616, La Tabernaria di Gianbattista Della Porta, in un simpatico scambio di battute tra il Pedante, personaggio dall’eloquio arzigogolato e incomprensibile, e Giacoco, personaggio di bassa estrazione sociale al quale l’autore associa l’uso del dialetto. Non mancano le attestazioni nel Cunto de li Cunti di Giovan Battista Basile, dove appare anche la locuzione fava de copeta, che sta per ‘boccone squisito’.
Insomma, questa parola doveva essere un tempo ampiamente utilizzata. Ma qual è la sua origine? Secondo l’ipotesi più diffusa la parola copeta deriverebbe dal latino CUPEDIA, che significa ‘leccornia, piatto prelibato’. Questa etimologia non ha convinto gli studiosi e gli esperti di lessico, che propongono invece un’origine araba. In particolare, Vàrvaro, nel suo Vocabolario storico – etimologico del siciliano, commentando la voce cubbàita, scrive: «è relitto dell’arabo qubbayța, pervenuto in varie forme in Sicilia, in Italia meridionale, in Toscana e in Liguria occidentale». Il termine copeta, secondo lo studioso, deriverebbe da una parola araba molto simile a qubbayta, giunta in Italia attraverso le rotte dell’Adriatico. La parola è infatti presente, oltre che in Campania, anche in Puglia, Basilicata, Calabria e… in Valtellina!
In Valtellina, come in Campania, la copeta o cupeta è legata alle feste, soprattutto quelle invernali, che si festeggiano dal due novembre fino al Capodanno. Questi croccanti dolcetti erano, in passato, dono graditissimo ai bambini. Oggi la copeta è molto apprezzata dagli adulti per la sua genuinità e per la sua semplicità. Per molti, ancora oggi, la copeta è il sapore dell’infanzia e dei ricordi. E voi? Avete mai provato questa piccola mattonella nutriente?