Tra le cose che meglio descrivono Napoli rientra, certamente, la sua gastronomia. Dalla pizza al babà, la cucina napoletana, ricca e povera, aristocratica e popolare, è caratterizzata da preparazioni che l’hanno resa celebre in tutto il mondo. Eppure, è in una sola immagine che si condensa l’intero universo gastronomico cittadino (e non solo). Si tratta del mangiamaccheroni, figura rappresentata in pittura sin dal Seicento e magistralmente personificata da Totò in Miseria e nobiltà. La pasta, in tutte le sue numerose e gustose declinazioni, è uno dei prodotti iconici della nostra regione. Napoli, grazie alla sua storia lunga e gloriosa, si è fatta portavoce, nel mondo, di una delle tante eccellenze del suo entroterra.
Un macchinario che ha fatto la differenza
Questa rassegna non poteva non celebrare quell’ingegno che per secoli ha dato forma a molti tipi di pasta oggi famosi ovunque. No, non è solo di fervida inventiva che stiamo parlando! La parola ʼncegne o ʼngegno, infatti, fu a lungo utilizzata dai vermicellari o maccaronari campani per indicare il torchio con trafila grazie al quale era possibile creare la pasta. Il possesso di questo macchinario era talmente importante da essere condizione necessaria per potere aderire alla cosiddetta Arte dei Vermicellari, congregazione che dall’inizio del Cinquecento riuniva e tutelava i pastai napoletani.
L’origine della parola non pone particolari problemi. Essa deriva, infatti, dal latino INGENIUM. Il significato di ‘macchinario’ o ‘arnese’, che si intuisce nella parola campana ʼngegno, esiste nell’italiano almeno dal Duecento, sebbene oggi sia in disuso. Al contrario, in molti dialetti, questo significato è ancora molto vitale. Termini affini a quello campano sono utilizzati spesso per indicare macchinari utili a vari scopi, come la spremitura dell’uva o l’estrazione dell’acqua.
L’evoluzione dell’ingegno e il ruolo dei napoletani
Con riferimento al mondo della pasta, la parola ingegno fu usata per la prima volta nella prima metà del Cinquecento dal cuoco Cristoforo Messisbugo. Lo strumento a cui si riferiva era, però, ancora piuttosto rudimentale: si trattava, molto probabilmente, di una semplice gratella su cui veniva premuta la pasta. Solo intorno alla fine del Cinquecento fu inventato il torchio con trafila, che permetteva di creare diversi formati di pasta.
Saranno proprio i pastai campani a dare celebrità a questo sistema, che rendeva la produzione della pasta più rapida e remunerativa. Già nella prima metà del Seicento l’ingegno è uno strumento conosciutissimo. Nel 1634 il cuoco napoletano Giovan Battista Crisci, autore della Lucerna de’ Corteggiani, parla di diversi tipi di pasta, tra cui i vermicelli d’ingegno, realizzati cioè con questo macchinario.
La fama dello ʼngegno napoletano cresce esponenzialmente, al punto che lo strumento iniziò ad essere citato in opere letterarie. Nella sua Laude de li maccarune, il celebre scrittore napoletano Giulio Cesare Cortese, paragona addirittura ad Archimede colui che inventò lo ʼngegno. Nel Settecento, lo scrittore napoletano Giovanni D’Antonio, parlerà, nel suo Sciatamone ʼmpetrato, di un personaggio al quale, per la paura, “li diente le sbattevano comm’a ngiegno de maccaronaro”…
Certo, oggi, nel mondo della produzione della pasta si fa uso di strumenti ben diversi, più moderni e rapidi, con cui rispondere alla crescente domanda di questo prodotto. A non essere andato in pensione, invece, è l’ingegno creativo dei pastai campani che ancora oggi, con estro, danno vita a formati sempre nuovi, dalle forme fantasiose, adatte a mettere in scena, sui nostri palati, lo spettacolo dei sapori mediterranei.