Il franfellicco: da monumento gastronomico a inutile cianfrusaglia
Può forse stupire leggere di franfellicchiin una rubrica che si occupa di cibo e gastronomia, dati i significati che coloro che parlano oggi dialetto in Campania associano a questa parola. Eppure, nella metà dell’Ottocento lo studioso Emmanuele Rocco definiva il franfellicco un vero e proprio «monumento gastronomico»… Si trattava infatti di una caramella di zucchero (più anticamente prodotta con miele) venduta a Napoli dai franfelliccari, che si occupavano anche del suo confezionamento. Ancora diffusa nella prima metà Novecento, la caramella assunse nel tempo forme e colori diversi per adattarsi a nuovi gusti e tendenze.
Una dolce storia
Di franfellicchi si parla per la prima volta nel cinquecentesco Candelaio del famoso Giordano Bruno. In quest’opera, la parola appare nella forma panferlich, e sembra indicare qualcosa di difficile da masticare. Nella forma femminile franfellicca, il termine ricompare del Viaggio di Parnaso di Giulio Cesare Cortese, composto nel 1621. L’autore parla di un dolce fatto con «mele d’Ibla», cioè con miele proveniente dalla Sicilia orientale. Nel corso del Settecento e dell’Ottocento, il termine viene quasi sempre usato nel significato gastronomico di ‘caramella a base di miele’, ma nessun autore fornisce indicazioni sulla preparazione.
Sappiamo però che nel corso dell’Ottocento, nella misteriosa ricetta di questa caramella, il miele venne sostituito con lo zucchero. Testimonianza di questo mutamento si trova nella Cucina teorico-pratica di Cavalcanti, in cui viene illustrata la realizzazione dello zucchero torto, qualcosa di molto simile, su ammissione dello stesso autore, ai franfellicchi. Dalla descrizione del procedimento fatta da Cavalcanti, si intuisce che la preparazione dei franfellicchi non dovesse essere semplice. Per ottenerli bisognava lavorare lo zucchero sciolto in una sorta di sciroppo. Se questo era troppo caldo il rischio di scottature era assai alto, se troppo freddo la pasta di zucchero diventava impossibile da lavorare. Per questo il confezionamento dei franfellicchi doveva essere eseguito dalle mani esperte dei franfelliccari.
Le notizie sulle origini della parola riportano alla Francia. La presenza, in francese, della parola fanfreluche (dal latino tardo FAMFALUCA, a sua volta dal greco POMPHÓLYX, cioè ‘bolla d’aria’) con il significato di ‘ninnolo, ornamento di scarso valore’, ha portato gli studiosi ad affermare che a Napoli e in tutta l’Italia meridionale la parola sia un francesismo. Il significato gastronomico di ‘caramella di scarso valore’, presente in napoletano ma non in francese, si è forse sviluppato da quello francese di ‘oggetto di scarso valore’. A proposito di quest’ultimo significato, esso si trova a Napoli già nel Seicento e nel tempo si è esteso. Il termine franfellicco, infatti, è utilizzato in Campania per definire una persona sciocca o un credulone, esattamente come accade per la parola gnocco, usata spesso nel senso di ‘stupido, sciocco’.
Curiosamente, la parola si trovava anche nella provincia di Padova, dove indicava, come in Campania, in Sicilia e nel Salento, un prodotto dolciario. È possibile che l’ampia diffusione della parola e della caramella fosse dovuta al commercio dei dolciumi praticato, un tempo, da venditori ambulanti in occasione di feste ed eventi. Oggi la caramella non esiste più, o almeno non viene più chiamata franfellicco. Il suo ricordo è vivo, tuttavia, nella memoria dei molti napoletani che, fino agli anni ʼ60, potevano concedersi, per pochi spiccioli, questo dolcissimo bastoncino di zucchero.