Làgane e ciceri ovvero: le origini della cucina italiana
Minestre di pasta e ceci sono diffuse in tutto il sud Italia. Con denominazioni e ricette che variano – talvolta di pochissimo – da un luogo all’altro, queste preparazioni sono molto economiche ma particolarmente nutrienti. In Campania sono celebri le làgane e ciceri, consumate soprattutto nel Cilento. Basilicata e Calabria condividono con la nostra regione l’amore per questo primo piatto che porta con sé tutto il gusto della tradizione.
L’antenata della pasta
Il formato utilizzato, detto, appunto, làgana, è un rettangolo di pasta ben lavorata sotto il laganaturo, cioè il matterello. La sua storia è antichissima, al punto che la làgana può essere considerata uno dei formati “antenati” delle paste alimentari d’oggi. La parola risale al greco laganon, passato poi al latino. Di laganum, infatti, parlano due personaggi dell’antica Roma vissuti nel primo secolo a. C.: il poeta Orazio e il gastronomo Apicio.
Se Apicio, nel suo De re coquinaria, dà alcune indicazioni su come condire le làgane, è Orazio a parlare, per primo, di làgane consumate con ceci e porri. È assai probabile che nel suo componimento il poeta facesse riferimento a un piatto cucinato in una sorta di forno: l’uso di cuocere la pasta in acqua bollente, brodo o latte si affermò, infatti, solo più tardi, nel Medioevo. È molto curioso notare che, già nel primo secolo a. C., la “vocazione” delle làgane fosse quella di essere cucinata con legumi.
Molto probabilmente le làgane dell’antica Roma erano più simili alle moderne lasagne e questo spiega perché venissero cotte in forno. Le làgane di oggi, più piccole e per questo più adatte alla cottura in acqua, rappresentano un’evoluzione di quelle romane. L’uso di consumare questo formato in una minestra di ceci (o fagioli), invece, è rimasto stabile nel tempo. Ma ci sono tracce, nella letteratura napoletana, di questo sostanzioso primo piatto?
Ebbene, sì! Nella cosiddetta Quatriglia de li Maccaronare, composta nel Settecento, l’anonimo autore scrive di laganelle co li cicere da accompagnare con una generosa bevuta. Nella prima metà dell’Ottocento, Ippolito Cavalcanti propone di mangiare, per il venerdì – giorno di magro – ciceri e laganelle, assieme a baccalà ʼmpasticcio e ova fritte. Un’ultima curiosità su questa gustosa pietanza: in napoletano e in altri dialetti della Campania la minestra di pasta e ceci prende il nome di lampe e tuone. Questa divertente denominazione era già in voga nell’Ottocento. Nel suo vocabolario del napoletano, infatti, Emmanuele Rocco registra l’espressione lampe e tronole, specificando che si trattava di una “minestra di ceci e nastrini”.
Oggi le làgane e ciceri, molto consumate nell’entroterra campano, rappresentano un piatto profondamente nostalgico. Sebbene sia ancora molto apprezzato, i suoi lunghissimi tempi di cottura e il suo alto contenuto energetico mal si adattano alle esigenze di velocità e leggerezza dello stile di vita contemporaneo. Per questo, decidere di preparare un buon piatto di làgane e ciceri significa prendersi del tempo, mettere in pausa la frenesia dei giorni ordinari e abbandonarsi, almeno per qualche ora, al richiamo della tradizione più genuina.