Nella sua raccolta di prose intitolata Il deserto e dopo, il celebre poeta Giuseppe Ungaretti definì la mozzarella “un vanto di questa regione”. Si riferiva, naturalmente, alla Campania: da nord a sud, da Mondragone – quasi al confine con il Lazio – a Paestum, passando per Aversa e Battipaglia, la Campania detiene, in effetti, lo scettro della produzione di queste morbide palline di latte di bufala.
Inutili imitazioni
Non si contano, ormai, i tentativi di riprodurre industrialmente questo prodotto: tutto inutile. Perché sia come tradizione e legge richiedono, la mozzarella di bufala campana deve essere prodotta in Campania, con latte di bufale allevate in questa regione, e questo è un fatto ufficiale. Nel 1996, infatti, la mozzarella di bufala campana ha ottenuto il marchio DOP che tutela il prodotto, garantendo che la sua manifattura avvenga in condizioni ambientali e lavorative rigidamente definite.
Oggi le mozzarelle possono essere di forme e dimensioni diverse. Si parte dalle piccole e saporite ciliegine fino ad arrivare alla celeberrima zizzona, tipica di Battipaglia. Tra bocconcini, trecce e figliate ne esistono per tutte le occasioni e per tutti gli appetiti. In genere, i loro nomi fanno riferimento alla forma o a caratteristiche peculiari. Aversane, invece, sono dette mozzarelle di grandi dimensioni che possono arrivare a pesare anche 500 grammi.
La storia della mozzarella è lunga ed è legata, naturalmente, all’introduzione dell’allevamento di bufali in alcune aree della Campania. Questo tipo di allevamento si stabilizzò intorno al dodicesimo secolo e ciò favorì l’utilizzo di latte di bufala per la produzione di formaggi. Già nella seconda metà del Quattrocento l’umanista Giovanni Rucellai ricorda di quando ricevette in dono “una stangata di mozze bufoline”, cioè mozzarelle fatte con latte di bufala.
Tuttavia, per la prima, vera attestazione della parola mozzarella bisognerà attendere il 1570. In quell’anno, infatti, fu pubblicata l’Opera del famoso cuoco papale Bartolomeo Scappi. In un elenco di formaggi da lui stilato, le mozzarelle fresche figurano accanto al butiro fresco e alle ricotte fiorite. La parola appare più volte all’interno di importanti ricettari storici, grazie ai quali sappiamo come venissero utilizzate le mozzarelle. Nelle loro opere, i cuochi Giovan Battista Crisci e Antonio Latini – entrambi vissuti nel Seicento – ci informano che questo prodotto era utilizzato per condire lasagne e maccheroni, per farcire torte salate a base di carne o come accompagnamento a zuppe di vario tipo. Nell’Ottocento Ippolito Cavalcanti propone la frettata co la mozzarella.
Per scoprire l’origine della parola è necessario fare riferimento al modo in cui le mozzarelle vengono preparate. Da un’unica massa di cagliata, calda e filante, le esperte mani dei mastri caseari strappano, con un gesto deciso e ben calcolato, il pezzo di pasta della dimensione desiderata. Dall’atto di mozzare la pasta deriva, infatti, la parola mozzarella. Oggi il termine è diffuso in tutta la nostra penisola ed è considerato un regionalismo entrato a pieno titolo a far parte della lingua italiana. Assieme alla pizza, la mozzarella è uno dei prodotti più noti dell’enogastronomia italiana ed è forse per questo che il suo nome resta invariato nelle altre lingue.
Oggi alla mozzarella sono dedicati locali e iniziative che, in giro per il territorio campano, puntano a valorizzare uno dei prodotti più importanti della gastronomia regionale. L’oro bianco della Campania, come è stata spesso definita la mozzarella, si muove tra tradizione e innovazione, adattandosi sempre, con il suo gusto equilibrato, ai piatti del passato come a quelli della recente ristorazione gourmet. Il suo futuro? Luminoso, naturalmente!