Sabato, domenica e lunedì… ogni giorno è buono per gli ziti!
Chi non ricorda la scena dell’infelice Rosa che, in Sabato, domenica e lunedì, spezza con forza disperata gli ziti, mentre il ragù borbotta in pentola e il sipario si chiude? Fortunatamente, quel sottofondo sonoro fatto di tic e crack è per i napoletani (e non solo!) una musica ben più allegra. È il suono della domenica, dell’incontro e della condivisione. Spezzare gli ziti è un rito che garantisce la buona riuscita del pranzo, è la fatica che precorre il piacere. Ma cosa sono gli ziti e da cosa deriva questa parola?
Cosa sono gli ziti
Si tratta di un formato di pasta lunga e… corta! Per tradizione, infatti, gli ziti sono prodotti e venduti in forma allungata. Prima della cottura devono essere ridotti – rigorosamente a mano – in pezzi più piccoli. Tra le paste lunghe e forate, sono quelle dotate del foro più ampio, come ricorda Emmanuele Rocco che nel suo vocabolario del napoletano scrive: “La gradazione secondo il loro diametro è questa: Vermicelline, Vermecielle, Vermecielle duppie, Perciate o Perciatielle, Maccaroncielle, Maccarune, Maccarune de zita”.
Un tempo gli ziti erano chiamati maccarune de zita ed è così che Rocco li definisce. Ma cosa significa questa espressione? Per rispondere a questa domanda, bisogna fare qualche cenno alla storia della parola zita. Questo termine, un tempo diffuso in tutta Italia per indicare la ‘ragazza’ o il ‘ragazzo’ (zito), è derivato dall’abbreviazione di piccitto o pizzitto. Nell’Italia meridionale la parola iniziò ad indicare, al femminile, la ‘giovane donna in età da marito’ o la ‘promessa sposa’ e ancora oggi, in alcuni centri dell’entroterra campano, zita vale ‘giovane sposa’. I maccarune de zita non erano altro che il piatto preparato o in occasione delle nozze o in momenti importanti precedenti le nozze, come la scelta del compare (il testimone). Con il tempo, la prima parte dell’espressione venne accantonata e si smise di utilizzarla. Per indicare la pasta si iniziò a adoperare dapprima la parola zita e successivamente la parola ziti.
Ad ogni modo, anche se i maccarune de zita erano particolarmente indicati per occasioni importanti, essi erano consumati anche in giorni ordinari. Di questo abbiamo testimonianza nell’appendice napoletana della celebre Cucina teorico-pratica di Cavalcanti che, nell’edizione del 1844, riporta la ricetta dei maccarune de zita ʼncasciate (cioè conditi con formaggio), consigliati per un normale lunedì.
Ancora nell’Ottocento i maccarune de zita, come tutti i formati di pasta allora esistenti, erano venduti per strada dai maccaronari ambulanti, come ricorda Domenico Jaccarino nei suoi versi dedicati proprio a queste figure emblematiche della Napoli antica. Oggi la situazione è molto cambiata: gli ziti si vendono in supermercati dove è possibile trovare anche i cosiddetti ziti tagliati, già ridotti alla dimensione adatta alla cottura. È venuto meno anche il legame degli ziti con i banchetti nuziali, mentre sembra sopravvivere il rapporto con le festività e la domenica. Del resto, si sa, è sufficiente portare in tavola un piatto di ziti fumanti, conditi con un corposo ragù o una saporita genovese, perché tutto, intorno, inizi a profumare di festa…